La speranza è essenzialmente fiducia. Spesso sentiamo il bisogno di ritrovare la speranza. La invochiamo, sperando che essa “ci sosterrà“. Altre volte ci disperiamo perché “è venuta meno” o “ci ha abbandonato”. Si sprecano le frasi fatte dove essa “è l’ultima a morire” o esiste “finché c’è vita”.

Spesso concediamo perfino ad alcuni soggetti di impersonarla, quando riponiamo in loro fiducia cieca.

Speranza in futuro migliore

Mai come oggi abbiamo bisogno di speranza: in un vaccino, in un’uscita dal tunnel della pandemia, in una ripresa economica. Durante il primo lockdown del 2020 ci siamo ripetuti come un mantra “andrà tutto bene”, perfino quando molti di noi non ne erano completamente convinti. Un grido, una frase che, spesso abbiamo utilizzato al fine di ritrovare la speranza. Laddove, magari, molti di noi, in realtà, l’avevano perduta.

Speranza ed illusione

Spesso dimentichiamo che alcuni sinonimi di “speranza” virano verso forme decisamente più impalpabili: “utopia”, “illusione”, “chimera”, “fantasticheria”, “miraggio”. Termini fortemente immateriali, che si distaccano nettamente dal concetto di “ritrovare la speranza“. Che si allontanano dalla concettualità terrena e materiale che può realmente venirci in aiuto quando abbiamo relamente bisogno di ritrovare la speranza.

È, inoltre, molto frequente riporre troppa fiducia in un evento o in un cambiamento esterno. Delegando ad un ipotetico “fato” la liberazione da tutte le nostre sofferenze. Come se vi fosse una “Dea bendata della fortuna” che distribuisce felicità e prosperità ai più meritevoli.

Siamo noi, solo noi a dover ritrovare la speranza

Il discorso è, dunque, molto complesso e parte, in primis, dal modo in cui noi affrontiamo e reagiamo alle delusioni e alle difficoltà.

Quella che è la nostra capacità di controllo dovrebbe esistere a prescindere da qualsiasi guaio. Eppure spesso accantoniamo questa voglia di “lottare” in maniera fin troppo comoda.

Ottimismo e pensiero positivo sono, ovviamente, importanti ed essenziali, ma devono essere adoperati con coscienza e conspevolezza. Limitarsi a dire che la speranza è “nel futuro” o “nei giovani” rischia di andare poco oltre il retorico. Portandoci, soprattutto, a “lavarcene le mani”, consegnando la responsabilità del cambiamento sulle spalle degli altri. Senza affrontare, dunque, in prima persona un vero e proprio percorso per ritrovare la speranza.

Aspettare senza agire

Quando si ha paura di un evento nuovo a cui si era impreparati, munirsi di prospettive è senza dubbio utile. Però va evitato il demandare tutto a una continua attesa. La reale speranza è molto di più.

Quando qualcuno smette di sperare, ha praticamente gettato le basi per:

  • Depressione
  • Cristallizzazione del proprio presente e ripetersi di problemi in maniera ciclica
  • Sensazione di “aver già visto tutto”
  • Mancanza di gioia e fiducia
  • Chiusura verso l’altro
  • Atteggiamento di nostalgia verso il passato, che nasconde rabbia non dichiarata per alcuni obiettivi mai realizzati fino in fondo
  • Scarsità di elasticità nel riconoscere un’opportunità
  • Pessimismo, disillusione
  • Forme di paura eccessiva

Emozioni e paura di ritrovare la speranza

Anche le altre emozioni che si abbinano alla speranza possono sembrare a un primo impatto negative. In realtà, però, sono il moto che spinge a creare speranza.

Inizialmente la paura, che può e deve diventare quella forza che ci porta ad andare nella direzione opposta rispetto a una difficoltà. Il rischio, che implica una forma di saggezza nel riconoscere quando fermarsi. Infine la fiducia stessa di ritrovare la speranza.

La paura può bloccarci oppure motivarci. Perché di fatto è un’interazione con una realtà che ancora non esiste e che magari molti ci criticano in quanto “impossibile”. È anche, in un certo senso, il modo di “testarci” su un progetto. Quanto siamo disposti a credere e ad investire su un qualcosa che oggi è “soltanto” una nostra idea?

Definire la speranza

Andando più indietro nel tempo, ritroviamo il tema della speranza anche in letteratura. Principalmente grazie ai testi di Giacomo Leopardi, in paricolare all’interno de lo Zibaldone. Proprio in quei testi il poeta abbina la sensazione stessa della speranza all’adolescenza, in quanto l’unica ad essere “certa di un avvenire molto migliore”. Per Leopardi “il bene lontano è sempre maggiore del vicino”, e nell’essere umano ce ne sarà sempre presente, anche nella situazione peggiore, “una scintilla, una goccia”. In altre parole, è giusto che il mondo prosegua anche mediante la speranza nelle generazioni presenti di migliorare ogni volta ciò che è stato fatto dalle precedenti.

Speranza in età adulta

Spesso, però, da adulti, perdiamo più facilmente la speranza. Rinunciando a posizionare, nei nostri pensieri, la felicità (o la speranza di ottenerla) nel presente.

Senza dubbio il senso di attesa è appagante. Ma cosa succede quando non riusciamo più a connetterci con il “qui ed ora”. Ponendo un velo su altrettante forme di speranza presenti nel nostro oggi?

Probabilmente molti di noi hanno smesso da tempo di vedere la realtà nel suo essere spontaneo. Questo non vuol dire che tutto ciò che è lontano dal presente vada cancellato. Al contrario, bisogna ricostruire in noi un giusto “mix” tra ciò che desideriamo dal futuro e ciò che stiamo vivendo adesso.

L’attesa del piacere è “essa stessa” il piacere? Davvero è così?

In fondo, anche vivere in un eterno presente non è propriamente vita al 100%. L’esperienza istintiva del presente è importante, ma se al suo interno non si spera e non si desidera più nulla, non si ha più nulla da chiedere. Non ci è più motivo per cercare di ritrovare la speranza. Ci si auto-convince che il presente ci sta dando già il massimo, e lentamente ci si spegne dentro, sfociando in depressione o solitudine portata all’eccesso. Si pensa di aver già vissuto le esperienze migliori, e non si ha più fiducia nel futuro. Inevitabile citare ancora Leopardi: “chi nulla spera, non sente e non compatisce”.

Ritrovare la speranza mediante i Mandala

La speranza persa va perciò riattivata letteralmente, in quanto funzione psicologica fondamentale legata all’immaginazione. Un trauma ha interrotto la nostra naturale capacità di avere un flusso di pensieri positivo, impedendoci di sperare in qualcosa di migliore.

Un Mandala, di per sé, è una sorta di “shock” positivo, in questo senso. Specialmente per chi non ne ha mai colorato uno. Abbiamo di fronte, perciò, una sorta di “guarigione” dai pensieri rimasti incatenati a un presente sempre identico. In un clima privo di giudizi, ogni combinazione di colore che scaturirà dal nostro Mandala, potrà stupirci e metterci di fronte al nuovo. Il nostro cervello ha costante bisogno di imparare cose nuove e di non “adagiarsi sugli allori”, e dunque un’interpretazione di un Mandala sulla speranza può farci vedere con semplicità dove ci eravamo bloccati.

C’è una relazione che non abbiamo il coraggio di spezzare “perché tanto ormai…”? O al contrario stiamo continuando a sperare in modo generico l’arrivo di un’anima gemella senza renderci conto che chiediamo cose troppo vaghe? Abbiamo paura di ricordare a noi stessi che la speranza è anche fantasia di dettagli?

È davvero giusto cercare sempre la perfezione?

È di fondamentale importanza capire che niente sarà mai perfetto al 100%. Ed è proprio qui che i Mandala possono donarci un grande insegnamento. Il fatto stesso che gli originali tibetani, venissero distrutti, implica che la loro perfezione fosse labile. In quel determinato momento era importante avere quel messaggio, ma altrettanto necessario era che, una volta integrato il concetto, si lasciasse andare il Mandala.

Un successivo Mandala darà una nuova sequenza di colori, una nuova risposta, un’altra combinazione che non avevamo previsto. E così all’infinito, andando sempre in un percorso di miglioramento e di apertura.

Non a caso la disperazione è il rifiuto della speranza, l’arrendersi al pensare che non ci sono più risposte.

La speranza invece è la nostra forza: apriamo il cuore alla speranza.

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